Lugano: Crocevia della morte
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«Nulla è più ridicolo di un uomo che insegue il suo cappello»
Nel panorama calcistico svizzero, il Lugano di Mattia Croci-Torti si trova in una situazione tanto esaltante quanto delicata: primo in campionato, ma con il Basilea alle calcagna, pronto a sfruttare ogni minima incertezza. Questa situazione di tensione, potrebbe portarvi alla mente la trama del film dei fratelli Coen “Crocevia della morte” . Si parla di parallelismi, non è infondo ogni nostra vita degna della papabilità di sceneggiatura per un romanzo, prova soo tante sceneggiatura degli stessi Cohen.
In ogni caso, cerchiamo di dirimere un po’questo articolo.
Nel noir dei Coen, il protagonista Tom Reagan è ossessionato dal suo cappello, un simbolo del mantenere il controllo in una realtà caotica e imprevedibile. Il cappello, perso e ritrovato più volte nel corso della storia, rappresenta il suo tentativo di dare ordine a una vita privata fatta di vizi e passioni irrefrenabili. Non conosco i vizi di Mattia Croci-Torti, ma è innegabile che possiamo tutti intuire quale sia il fuoco sacro che lo anima in questo momento: vincere la Super League.
Come un regista cinematografico, non sono esente nel dare una visione alla sceneggiatura, il mio giudizio sarà quello di un tifoso, non imparziale. Quando si parla di vizi.
Come stiamo ?

Come Tom, l’allenatore bianconero sa che tenere il cappello in testa non basta: serve lucidità per mantenere il controllo del destino della sua squadra.
Fin dalle prime sequenze di Crocevia della morte, Tom Reagan appare come un personaggio sicuro di sé, un uomo che, prima di aprire bocca, valuta perfettamente il peso delle parole, un tipo brillante che riflette bene prima di agire. Il suo è uno spirito libero e sfuggente. La sua mente non è schiava di nessuno, se non di un personale codice d’onore. Ma è il suo cuore a soffrire, perché batte per una donna impossibile da raggiungere.
Il Crus, insomma si è innamorato della donna del boss. Ma chi è al momento il marito ?
Probabilmente il Basilea, di Fabio Celestini, uno che conosciamo bene, déjà vu.
Shaqiri: il diavolo probabilmente

Se [Tommy Johnson] fosse vivo ve lo potrebbe confermare. Diceva che ne sapeva tanto di musica perché aveva venduto l’anima al diavolo. Io gli ho chiesto come. E lui: “Se vuoi imparare a suonare quel che ti va di suonare e a farti da solo le canzoni, prendi la chitarra e vai a un quadrivio, a un crocicchio. Ti metti lì stando bene sicuro di arrivarci un po’ prima della mezzanotte di quel dato giorno. Hai con te la tua chitarra, così ti suoni un pezzo… Arriverà un grosso uomo nero che ti prenderà la chitarra di mano e l’accorderà, poi suonerà un pezzo e te la ridarà. È così che ho imparato a suonare quel che mi va”.
Dall’intervista di David Evans a LeDell Johnson, fratello del bluesman Tommy Johnson.

Due settimane fa è stata la seconda volta che vedevo dal vivo giocare Shaqiri, pensavo onestamente fosse in fase di alta bollitura, invece mi ha impressionato la fame che gli si legge negli occhi. Quando, segnando il rigore del definitivo pareggio, è venuto a zittirci sotto la tribuna nord di Cornaredo, ho sentito il fuoco sacro del calcio sfiorarmi.
Voi direte, Shaqiri a Chicago a fatto fatica, non corre più. Shaqiri a Chicago stava appassendo.
Invece tornare a Basilea è stata la scelta migliore che potesse compiere.
Chissà se In Illinois, sponda Chicago, qualcuno starà pensando a qualche Crossroad.
L’estate poteva essere inferno e paradiso nelle immense, piatte piantagioni di cotone del Delta del Mississippi negli anni venti e trenta del Novecento. L’inferno era essere costretto a sgobbare dall’alba al tramonto mentre aravi dietro il culo di un mulo dalle lunghe orecchie, nemmeno un albero a fare ombra a perdita d’occhio, con un sole che faceva bollire il sudore sulla pelle di un nero. Se cadeva troppa pioggia, il fango denso rendeva quasi impossibile arare e le zanzare diventavano una coperta brulicante apportatrice di malessere e febbri. Se c’era troppo sole il raccolto si bruciava e andava perso, e i moscerini e i tafani subentravano implacabili alle zanzare.
Nel blues, come nel calcio, esistono momenti che segnano una carriera. Robert Johnson cantava di anime vendute al diavolo a un crocevia, di strade che si biforcano tra gloria e oblio. Oggi, Xherdan Shaqiri si trova davanti a un bivio tutto suo: “sfidare” il Lugano di Joe Mansueto, l’uomo che lo aveva voluto come stella ai Chicago Fire, dove non è mai riuscito a incidere, ma ora dall’altra parte della barricata.
Se Johnson lottava contro i demoni interiori e le avversità della vita, Shaqiri si trova a fare i conti con aspettative deluse, il tempo che passa e un campionato svizzero che sta però vedendo un suo totale dominio in fatto di statistiche.
Shaq is back !
Quella di Robert Johnson resta una delle figure più misteriose e sfuggenti a cui sia mai stata dedicata una biografia. Separare i fatti dalle invenzioni, la leggenda dalla verità, la precisione dall’esagerazione equivale a una condanna di Sisifo, un compito senza fine. Non appena un fatto sembra essere verificato esso viene smentito da altri dati, altre ricerche.
Il calcio, bellezza !
Sia chiaro, nel film, la sceneggiatura è già scritta e il destino del protagonista appare inevitabile. Ma il calcio, fortunatamente, non è un copione da seguire: è imprevedibile, emozionante, pieno di colpi di scena.
E chissà che questa volta il nostro Tom—alias Croci-Torti—non riesca a ribaltare la trama e a conquistare il finale che tutti i tifosi bianconeri sognano.
Quello che noi possiamo fare è andare allo stadio, cercando di coinvolgere sempre più gente per seguire la squadra. Vittorie e sconfitte !
Se non fosse stato amante del rischio, del pericolo, perché mai avrebbe iniziato una relazione con Verna, la moglie del suo boss? Questa relazione, questo amore tutto sommato sincero e passionale, è il McGuffin che scatena gli eventi, che libera la mente di Tom dalle catene della fredda razionalità, che scatena il sogno che lo ossessiona.