I 5 Palloni d’oro più improponibili del calcio moderno
A pochi giorni dalla sua assegnazione, ci si ritrova a parlare del Pallone d’Oro, il premio calcistico individuale più ambito e conteso dai giocatori di tutto il mondo, istituito nel lontano 1956 dalla rivista France Football. L’idea originaria che stava alla base della sua assegnazione era semplice: premiare il miglior calciatore europeo dell’anno (con qualche eccezione, vedi Omar Sivori, 1961). Bisognerà attendere gli anni ’90 prima di poter assistere a una vera rivoluzione in tal senso. Nel 1995, infatti, il Pallone d’Oro si apre ai talenti extraeuropei e il primo non europeo a vincerlo fu il liberiano George Weah, la cui vittoria scatenò parecchie polemiche; in molti sostennero che calciatori come Del Piero, Litmanen o Zola avessero avuto una stagione migliore. Da quel momento, il dibattito sulla regolarità o sulla presunta soggettività nel processo decisionale divenne una costante nell’assegnazione di un premio tanto prestigioso quanto controverso.
Nel 1991, la FIFA istituisce un proprio riconoscimento, il FIFA World Player of the Year, ma questo fatica a ottenere la stessa popolarità del Pallone d’Oro. Così, nel 2010, la FIFA e France Football uniscono le forze, creando il Pallone d’Oro FIFA, un premio la cui assegnazione coinvolge nei voti anche allenatori e capitani delle nazionali, oltre ai giornalisti. Tuttavia, questa formula dura solo fino al 2016, quando France Football decide di tornare al modello originale, riprendendo in mano il premio e affidando la scelta del vincitore esclusivamente a una selezione di giornalisti.
Oggi, il Pallone d’Oro rappresenta non solo un riconoscimento per le abilità calcistiche, ma anche un’opportunità per riflettere su dove sta andando il calcio e su cosa significa essere un grande giocatore in uno scenario in cui i talenti si sfidano non solo per i trofei o per i soldi, ma anche per il cuore e la mente dei tifosi di tutto il mondo.
E a proposito di tifosi, eccomi. Anche quest’anno, come ogni anno, è stato assegnato il Pallone d’Oro, e anche quest’anno, come ogni anno, sono pronto ad assistere alla cerimonia in TV. Carico e pronto, tendo il telecomando verso la TV per alzare il volume e prestare orecchio.
E il Pallone d’Oro va a… Rodri!
“Te pareva”, dice il lato sinistro del mio cervello. “Ma sì, se l’è meritato, dai…”, risponde il lato destro. Non ne ero ancora consapevole, ma il mio inconscio mi stava preparando a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, non appena avessi aperto i social (e Carl Gustav Jung, muto!). Una marea di articoli seguita da una mole incalcolabile di commenti di chi avrebbe voluto vedere il premio andare a questo o quell’altro giocatore, per questa o quell’altra ragione; tantissime opinioni, tutte figlie di raffinatissime scuole di pensiero, tutte figlie di…
In fin dei conti, è anche normale: il Pallone d’Oro è un riconoscimento individuale volto a incoronare “il miglior giocatore” dell’anno in uno sport che divide e polarizza, uno sport la cui ragion d’essere celebra lo sforzo collettivo e il gioco di squadra. È un premio che getta tanta ombra quanto è la luce di cui brilla chi se lo aggiudica e, per questa ragione, forse, l’indignazione che ne consegue quasi tutti gli anni (se non tutti) è insita nel premio stesso. Facciamocene una ragione.
E nel farmene una ragione, non posso non ricordare i cinque episodi che più hanno segnato la mia crescita quale calciofilo professionista: i cinque Palloni d’Oro, a mio avviso, più controversi della storia recente del calcio.
1. Hristo Stoičkov (1994)
Nel 1994, il Pallone d’Oro finì nelle mani di Hristo Stoičkov, fuoriclasse bulgaro che si impose sulla scena europea con il suo carisma e il suo stile irriverente. Certo, aveva guidato il Barcellona con intensità e si era distinto ai Mondiali con la Bulgaria, ma per molti la sua vittoria fu un azzardo, poiché Stoičkov non rappresentava certo il simbolo della perfezione tecnica e, in quell’anno, non vinse trofei internazionali. Al contrario, i suoi detrattori ricordano molto bene, infatti, la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Milan di Capello, una squadra da triplete che di aspiranti palloni d’oro ne aveva da vendere: Paolo Maldini su tutti.
2. Michael Owen (2001)
Siamo alle porte del nuovo millennio: è il 2001, e un giovane inglese, Michael Owen, vince il Pallone d’Oro portandosi a casa onori e scetticismo. Indiscutibilmente talentuoso, Owen aveva trascinato il Liverpool verso traguardi importanti, ma vinse in un anno che aveva visto anche un Oliver Kahn in forma smagliante, campione d’Europa con il Bayern Monaco, e un Raúl inarrestabile. Il risultato? Una scelta inaspettata che portò molti tifosi a dubitare del valore del premio, alimentando polemiche e discussioni di vasta portata.
3. Ronaldinho (2005)
Qui si toccano due tasti dolenti, quindi è bene fare una precisazione. Io ho amato alla follia, e amo tutt’ora, Ronaldinho: le sue giocate spettacolari, il dribbling inarrivabile, la magia del calcio brasiliano incarnata in un giocatore dai piedi fatati. E sono anche milanista, dunque chiedo perdono per quello che sto per dire, ma il Pallone d’Oro 2005 andava dato a Steven Gerrard, punto. L’icona del Liverpool e bandiera del calcio inglese fu protagonista di una delle finali di Champions League più memorabili e allucinanti di sempre. Molti sostennero che Ronaldinho avesse vinto più per ragioni di marketing, anche grazie al peso di importanti sponsor di cui era testimonial. Fu un premio al merito o alla popolarità?
4. Cristiano Ronaldo (2013)
“Nel 2013 fui derubato del Pallone d’Oro”, dichiarò Franck Ribéry. Con queste parole, l’asso francese del Bayern Monaco rivelò ai microfoni di Canal Plus tutta la sua frustrazione per non aver vinto il prestigioso trofeo, e probabilmente non aveva torto. I tifosi tedeschi, forti di uno strepitoso triplete del Bayern, ricordano bene le polemiche che avvolsero quell’edizione. Per motivi mai del tutto chiariti, il termine ultimo per la votazione venne prorogato fino alla fine di novembre 2013, rispetto alla chiusura originaria prevista per il mese precedente. Questa decisione, si disse, avvantaggiò il fuoriclasse portoghese che, senza quel prolungamento, non avrebbe vinto il premioquell’anno. Si parlò anche di come il “calcio spettacolo” avesse prevalso sulla sostanza. Sarà stato davvero così?
5. Lionel Messi (2023)
Quando nel 2023 Lionel Messi vinse il Pallone d’Oro, i social esplosero. E non era la prima volta che la Pulce argentina facesse discutere in questo modo: già nel 2021, infatti, la sua vittoria aveva suscitato scalpore poiché il favorito sembrava essere Lewandowski. Certo, il Mondiale del 2022 ha avuto un peso enorme nella decisione, ma per molti Messi non fece una stagione esaltante, al contrario di Haaland, autore di un’annata record con il Manchester City, o del francese Mbappé. Inoltre, molti si chiesero se fosse giusto premiare un giocatore militante in un campionato di secondo piano come quello statunitense. Un premio alla carriera mascherato da Pallone d’Oro?
Menzione speciale: Marco Van Basten (1988-1989)
Intendiamoci, Marco Van Basten è stato un fuoriclasse senza tempo. E allora perché inserirlo in questa lista? Semplice, perché nella stagione 1988-89 un altro giocatore immenso salì sul podio senza aggiudicarsi il premio, per la prima e ultima volta nella sua carriera. E anche se lo avrebbe meritato (eccome se lo avrebbe meritato) non lo vinse né in quell’occasione né mai: Franco Baresi, storico Capitano rossonero. Fortunatamente, però, il 28 ottobre 1997, nella sua partita di addio al calcio, Silvio Berlusconi pensò di consegnargli un Pallone d’Oro “simbolico” «per colmare l’unico vuoto rimasto in una bacheca stracarica di trofei». Alla faccia di chi gli vuole male!
Al netto di qualsiasi considerazione tecnica, il contesto geopolitico del calcio è mutato parecchio negli ultimi decenni e, con esso, è cambiato anche il calcio stesso, le sue istituzioni, il suo pubblico e anche il Pallone d’Oro. I segnali ci sono e sono tanti: sono giunti sulla scena nuovi sponsor, nuovi capitali e gruppi di investimento; nuovi e improbabili broadcaster trasmettono le partite in TV e milioni di ragazzini provenienti da Paesi tradizionalmente lontani dal calcio, i cui padri guardavano tutt’altri sport, oggi vivono, mangiano e respirano il pallone. Un’audience tanto nuova quanto grande, insomma.
Messi vince perché è più famoso e, al giorno d’oggi, in Cina, Giappone, Arabia, India, USA e mezza America Latina ci sono milioni di tifosi che comprano la sua maglia? E se la sua maglia vende di più, gli sponsor X e Y, che tanto hanno investito nel calcio, avranno vantaggi economici? Possono, questi sponsor, fare pressioni su questo o quell’organo decisionale calcistico?
Mai come oggi, effettivamente, nell’era dei social e della comunicazione, ci sono state così tante ragioni per pensare di sì. Dopotutto, nel calcio, come in qualsiasi altro business, la visibilità è tutto. Dunque, se le domande che ci si faceva ieri erano: “Va premiato il più concreto o il più vincente?”, “Il più tecnico o il più tattico?” o “Europeo o extraeuropeo?”, oggi la questione è un’altra: premiamo il calcio giocato o il numero di follower sui social?