Una riflessione tra numeri, infortuni e introiti nel calcio moderno

“Si gioca troppo.” È una frase che si sente sempre più spesso. Tecnici, giocatori e addetti ai lavori puntano il dito contro l’espansione dei calendari calcistici, ma quanto c’è di vero? I numeri raccontano una realtà complessa: se da un lato il numero di partite per calciatore è rimasto pressoché stabile negli ultimi anni, dall’altro l’aumento delle competizioni e la riduzione dei tempi di recupero sembrano aggravare il rischio di infortuni. Dunque, come e dove nasce la polemica? Facciamo un po’ di chiarezza.

Qualità del gioco e futuro del calcio

Secondo l’accusa, l’espansione dei calendari non impatta solo sulla salute dei calciatori, ma anche sulla qualità del calcio. Umberto Calcagno, presidente dell’AIC (Associazione Italiana Calciatori), afferma che “giocare 60 partite a stagione impedisce ai calciatori di mantenere alti standard di rendimento”.

Per Calcagno, il calcio rischia di diventare meno spettacolare, con atleti stanchi e una maggiore incidenza di errori tecnici. Inoltre, l’aumento degli infortuni potrebbe costringere i club a schierare rose rimaneggiate nei momenti cruciali della stagione, compromettendo l’equilibrio delle competizioni.

Aumentano le partite o è solo una percezione?

Uno studio del CIES (Centre International d’Étude du Sport), condotto su 62.000 giocatori tra il 2012 e il 2024, rivela che il numero medio di partite giocate per calciatore è cresciuto di appena 1,5 unità in dodici anni: da 22 partite nel 2012 a 24,2 nel 2024. Sorprendentemente, i minuti medi giocati per calciatore sono rimasti stabili, passando da 1.582 nel 2012 a 1.587 nel 2024.

L’aumento del numero complessivo di partite è legato principalmente all’introduzione di nuove competizioni internazionali. La Champions League, ad esempio, ha ampliato il suo format: dalla stagione 2024/2025, potrebbe richiedere fino a 17 partite per arrivare in finale. Anche il nuovo Mondiale per Club, con 32 squadre partecipanti, aggiungerà un massimo di 7 partite. Per un top club come il Real Madrid, il numero massimo di gare disputabili in una stagione 2024/2025 potrebbe toccare le 79, rispetto alle 75 della stagione precedente.

Tuttavia, questa crescita non è uniforme:

  • I club europei di fascia media disputano in media 41,5 partite stagionali;
  • Le squadre che avanzano nelle competizioni continentali arrivano a una media di 50 partite.

Le conseguenze fisiche: più partite, più infortuni

Numeri alla mano, l’idea che i calciatori giochino sempre di più è solo parzialmente vera, riguardando soprattutto un ristretto numero di squadre e top player. Complessivamente, il numero di match disputati per giocatore è aumentato di poco, mentre i minuti medi giocati sono rimasti stabili grazie alle 5 sostituzioni (introdotte nel 2020) e a una politica di turnover più strutturata e oculata.

Tuttavia, la compressione del calendario e la riduzione dei tempi di recupero espongono i calciatori a rischi maggiori, con un aumento tangibile degli infortuni. Lo studio “Injury Time” dell’AIC evidenzia un incremento del 30% degli infortuni nei principali campionati europei nella stagione 2023/2024 rispetto al 2022/2023:

  • Premier League: indisponibilità dei giocatori per il 15% dei giorni stagionali, con Chelsea e Manchester United che hanno registrato un aumento degli infortuni del 57%;
  • La Liga: Real Madrid (+146%), Atletico Madrid (+105%) e Barcellona (+91%);
  • Serie A: il Milan ha registrato un +22%, la Roma un +37%, mentre la Juventus ha ridotto gli infortuni del 25%, probabilmente grazie a una gestione più oculata del turnover.

Il rischio di infortunio cresce esponenzialmente dopo la 40ª partita stagionale. Superata questa soglia, il corpo degli atleti entra in una zona critica. Le proiezioni per il 2024/2025 indicano che, con i nuovi format, i giorni di indisponibilità per infortunio potrebbero aumentare del 50%, costringendo ogni club ad avere almeno un giocatore infortunato per un giorno su tre.

Le cause, però, potrebbero essere altre. Il calcio moderno richiede competenze più ampie e sforzi maggiori al singolo giocatore, sia in termini di allenamento sia di preparazione tecnica. Gli allenamenti attuali sono più intensi e mirati, per garantire una forma fisica ottimale in un calcio sempre più competitivo, in cui si corre molto più rispetto al passato.

Introiti alle stelle: il lato economico della crisi

Ma cosa si nasconde dietro l’espansione dei calendari? I soldi. Nuove competizioni come la Conference League e l’ampliamento della Champions League hanno generato un incremento significativo degli introiti. Tra il 2010 e il 2023, i ricavi della Champions League sono passati da 1,08 miliardi a 3,07 miliardi di euro.

Solo nella stagione 2023/2024, la redistribuzione dei ricavi Champions ha portato oltre 500 milioni di euro nelle casse dei club. Prendendo come esempio il Real Madrid, il monte ingaggi è triplicato in vent’anni, passando dai 98,1 milioni (2003/04) ai 326,95 milioni della passata stagione e la situazione è analoga anche per altri top club europei. Ciò ha portato a un paradosso: mentre il numero di partite è rimasto stabile o è aumentato di poco, gli stipendi hanno subito un’impennata, sostenuti dagli introiti televisivi e commerciali.

La polemica, dunque, potrebbe essere sintetizzata così: “Vogliamo giocare di meno, ma mantenere stipendi 2-3 volte superiori rispetto a dieci anni fa”. Un po’ come dire: “Vogliamo sia la botte piena che la moglie ubriaca”. È una polemica che sul piano etico, forse, non merita ulteriori approfondimenti.

Resta però un interrogativo: questo modello è sostenibile?

Ai posteri l’ardua sentenza.